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Spazio colore

Gli spazi colore sRGB ed Adobe RGB 1998 sono due dei più usati spazi nella fotografia digitale. Se sia meglio usare l’uno o l’altro è e sarà sempre argomento di discussione.

Vediamo allora di capirci qualche cosa!

Lo spazio colore assegna una precisa gamma cromatica (gamut) all’immagine. I più comuni spazi oggi utilizzati sulle macchine fotografiche digitali sono appunto i seguenti:

sRGB,

Spazio colore standard per i vari dispositivi video, di stampa e web, creato da HP e Microsoft; presenta alcune limitazioni nello spazio del Ciano-Verde, per cui non riesce ad includere tutte le sfumature CMYK. Le immagini acquisite in sRGB sembrano più sature di quelle Adobe RGB, ma hanno un numero minore di sfumature.

ADOBE RGB (1998),

Spazio colore creato da Adobe per le stampanti CMYK; produce immagini meno sature ma più ricche di sfumature, anche se poi i monitor non sono in grado di mostrarlo.

La differenza principale fra gli spazi colore è quindi la diversa gamma cromatica (gamut) che può essere registrata.

L’immagine che segue può dare un’idea dell’estensione del gamut di Adobe RGB rispetto a quello sRGB nel caso di ombre (luminanza 25%), toni intermedi (luminanza 50%) e toni alti (luminanza 75%).

Verrebbe da dire che spazio migliore da utilizzare sia Adobe RGB ma la risposta non è cosi scontata. La scelta è in base alla funzione, non in base alla gamma. La più ampia gamma di colore di  Adobe RGB non è completamente riproducibile dai monitor, pertanto dovremmo gestire un maggior numero di colori che però non visualizzeremo in modo corretto durante la postproduzione.

Lo spazio sRGB è l’unico che consente di vedere a monitor (calibrato) l’immagine come verrà in stampa o sul web. Di conseguenza, se questa è la destinazione delle proprie immagini, allora lo spazio colore delle immagini finali deve essere sRGB, mentre quello di lavoro può anche essere Adobe RGB o nessuno (nel caso del RAW).

E’ anche da dire però a vantaggio di Adobe RGB che in postproduzione è sempre possibile convertire un’immagine che ha spazio colore Adobe RGB in un’immagine con spazio colore sRGB, ma non si può fare il processo inverso.

Quando si scatta in RAW, (spesso conviene e spiegheremo il perché) la cosa è molto più semplice.

Se si scatta in RAW la fotocamera ignora lo spazio colore. Questo viene applicato in postproduzione tramite il software usato per la conversione. Se invece si fotografa direttamente in JPEG, allora è determinante impostare lo spazio colore nel menu della fotocamera.

Il RAW è un formato grezzo che accumula tutti i dati di scatto, li memorizza ma non li processa definitivamente, lasciando a noi la possibilità di scegliere molti dei parametri in postproduzione, e quindi  ci permette di scegliere lo spazio colore nella fase di conversione del file in jpeg, in base all’uso che dovremmo fare della nostra immagine.

Non ci sono canali del rosso, verde e blu ma solo un singolo flusso di dati che contiene informazioni sul verde (50% dei dati), sul rosso (25%) e sul blu (25%), più una serie di metadati che rappresentano lo stato della fotocamera (bilanciamento del bianco, saturazione, contrasto e così via). Le percentuali si riferiscono a fotocamera dotate di sensore con filtro di Bayer (praticamente il 90%)

Il gamut totale di un file RAW tipico è più grande di quello di questi spazi colore.

Il sensore cattura molto di più di quanto lo spazio colore Adobe RGB possa rappresentare. E’ chiaro quindi che una conversione in Adobe RGB o sRGB ci fa perdere informazioni. Il file RAW, invece, le contiene tutte.

Altri profili colore

ProPhotoRGB: usato dal programma Lightroom, per i professionisti, ha un gamut a 16 bit ancora più ampio dell’AdobeRGB.
Nel grafico riportato sopra viene confrontato lo spazio LAB con lo spazio ProPhoto RGB e con lo spazio Adobe RGB. Il confronto è utile perchè lo spazio LAB è l’unico che rappresenta come l’occhio umano vede il colore; in un certo senso si può dire che rappresenta l’estensione dell’occhio umano: tutto ciò che sta fuori allo spazio LAB non è percepito dall’uomo.

LAB: questo è uno spazio importante, molto utilizzato come spazio di passaggio nelle conversioni tra spazi di colore. Viene utilizzato anche nel fotoritocco grazie alla sua particolare costruzione, costituita da un asse L di luminosità (quindi dal bianco al nero), e da due assi di colore a e b. Molte operazioni eseguite solo sul canale L (esempio tipico: lo sharpening) sono molto efficaci perché non intervengono sui canali colore.

Conclusioni:

Se dobbiamo mandare in stampa, o la destinazione finale è internet, è preferibile un profilo colore sRGB, gli altri sono poco gestiti e alla fine è meglio farsi da se la conversione.

L’utilizzo di Adobe RGB è una delle principali cause di colori che non corrispondono tra monitor e stampa.

Adobe RGB teoricamente può rappresentare una più ampia gamma di colori, tuttavia:
dal momento che Adobe RGB stringe i colori in una gamma più ridotta, l’intera gamma sarà rappresentata solo se si ha il software corretto per leggerlo.

In pratica se si è fotografi professionisti e gestiamo direttamente la stampa allora il profilo da usare è Adobe RGB, in stampe di grande formato saranno ben rappresentate tutte le tonalità e avendo sempre davanti il risultato potremmo gestire al meglio le sfumature di colore.

Ricordiamo anche che da Adobe RGB possiamo passare a sRGB ma non viceversa.

Il formato RAW mette d’accordo tutti.

 

Note personali:

Se fotografo un’evento sportivo utilizzo sRGB, primo perché la destinazione sarà il web o una stampa il massimo delle volte 20×30, e poi perché tornando a casa con migliaia di immagini non abbiamo molto tempo per la post-produzione e quindi scatto direttamente in jpg. Massimo il giorno dopo le immagini devono essere visionabili sul web.

Per le altre situazioni, editoria, stampa grande formato, birdwatching, paesaggi ecc. è preferibile il formato RAW senza dubbio e poi il profilo lo daremo in base all’utilizzo.

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